sabato 5 dicembre 2009

I ragazzi della palastra popolare Antifa Boxe raccontano la loro esperienza

LO SPORT NON SI SGOMBERA
NOI SIAMO CON ASKATASUNA
Non possiamo accettare passivamente quello che è stato detto da politici e cariche istituzionali riguardo allo sgombero dei centri sociali e delle case occupate di Torino.
La decisione di allenarci in strada non vuol far altro che promuovere una delle attività che si svolgono all'interno dell'Askatasuna.
Questa palestra è nata nel 2001 e gli sport che pratichiamo al suo interno sono il pugilato e la capoeira. Sport, appunto, non corsi per preparare picchiatori come qualcuno ci accusa di fare. La boxe è una disciplina basata su regole e sacrifici, non c'è spazio per picchiare.
In questi otto anni di attività abbiamo potuto constatare il sempre crescente successo dell'Antifaboxe. Il primo anno era presente un solo corso, oggi siamo arrivati a tenere cinque corsi di pugilato e uno di capoeira, con una media di venti atleti per gruppo. Le persone che compongono questa realtà sono molto diverse tra loro: ragazzi dai 14 anni in su, (chiaramente con il consenso dei genitori che in alcuni casi partecipano anch'essi agli allenamenti), fino ad arrivare a persone di età decisamente più avanzata, come il signor Giovanni, pensionato Fiat. Anche l'estrazione sociale varia, oltre a studenti e lavoratori italiani giunti nella nostra città da ogni parte dello stivale, in palestra c'è una forte presenza di immigrati Romeni, Polacchi, Albanesi, Afgani, Sudamericani. La presenza femminile è molto forte, nonostante alcuni pensino che la boxe sia un sport da uomini, cosa non vera, dimostrata dal fatto che uno degli atleti che, nato all'Antifaboxe, è passato all'agonismo è proprio una ragazza che sta ora vincendo i suoi primi incontri dilettantistici. Inoltre si allena regolarmente con noi con ottimi risultati di integrazione e progressi sul piano della coordinazione psicomotoria anche un ragazzo non vedente. Gente semplice, che non frequenta necessariamente l'Askatasuna ma che ne riconosce l'importanza sociale e aggregativa fondata su valori come la solidarietà e l'uguaglianza.
CHI VUOLE SGOMBERARE QUESTE REALTA' ATTACCA DI FATTO QUESTI VALORI.
DIFENDIAMOLI!
SEMPRE SU LO SGUARDO            -            NO ALLO SGOMBERO
ANTIFA BOXE
 


L’ANTIFA BOXE VISTA DA VICINO
Mi chiamo Alex. Sono un ragazzo nonvedente dalla nascita, e da qualche mese vengo ad allenarmi all'Aska. Prima di avvicinarmi all'Antifa Boxe non praticavo sport. Premetto che a Torino ci sono delle associazioni che si occupano di organizzare attività sportive per nonvedenti, ma trovavo limitante l’idea di praticare uno sport appositamente strutturato sulla disabilità. Del resto in altre palestre avvertivo un certo pregiudizio rispetto ai limiti imposti dalla mia condizione fisica, anche se in realtà non ci sono molte difficoltà nel fare le cose.
Ho conosciuto la palestra circa un anno fa attraverso un mio amico che ci si allenava già da un po' di anni.
Un giorno per curiosità gli ho chiesto se potevo andare, una volta, a vedere come ci si allena. Detto e fatto, sono venuto a "vedere" e ho chiesto se comunque, a parte tutto, potessi fare un allenamento uguale agli altri, tranne quando si fa guanti, sostituendolo con un corpo a corpo molto leggero o facendo i pao. Ho iniziato ad allenarmi e nel giro di pochi mesi ho migliorato i miei problemi di coordinazione e mi sento migliorato dal punto di vista fisico. Anche dentro mi sento più rilassato ogni volta che esco dalla palestra.
E' un posto dove si accetta chiunque abbia voglia di allenarsi e devo dire che mi ci trovo davvero bene, sia a livello di relazione con gli altri ragazzi, sia come allenamento. Per dirla meglio, mi sento un po' normale, non il povero disabile...                              
Alex

QUELLO CHE NON C’E’
Cominciamo da quello che non c’è.
Da quello che non troverete mai alla palestra popolare antifaboxe di corso regina 47 a Torino.

Non c’è una porta a vetri, un’atrio luminoso, un ascensore per raggiungere il secondo piano, non c’è una segretaria all’ingresso cui mostrare la tessera della palestra. Perché non c’è una tessera.
Non ci sono cognomi. Perché ci si conosce tutti per nome o per soprannome.
Non ci sono addetti alle pulizie che più o meno nascosti nettano e sistemano la palestra. Ma tutto è pulito.
Non c’è un proprietario o un gestore che si aggira tra gli atleti dispensando consigli e ricordando di mettersi in regola al più presto con le quote mensili.Perché non c’è un padrone.
Perché la palestra siamo noi.

Non ci sono padroni, dicevamo, nessuno ci guadagna. I dieci euro al mese di iscrizione sono una cifra simbolica che serve per le spese dei materiali, poi c’è la vendita di magliette, felpe e cappellini della palestra, le cene di autofinanziamento per mantenere in piedi questo progetto che ha compiuto ormai 8 anni.
Passiamo ora a quello che c’è e troverete sempre nella palestra popolare antifaboxe.

Innanzitutto la palestra: lavoratori, studenti, universitari, migranti, stranieri, ragazze e ragazzi di tutte le età che si trovano uniti dalla voglia di esprimersi attraverso lo sport e di portare avanti idee di socialità, aggregazione e integrazione diverse da quelle proposte dal sistema capitalista.
Diverse e possibili, come dimostra il successo della palestra. Successo non solo di numeri – le iscrizioni continuano ad aumentare di anno in anno dal 2001 – ma che si può riscontrare nella grande partecipazione alle iniziative, come l’annuale raduno delle palestre popolari d’italia che si tiene in maggio.

Antifaboxe Torino è una palestra di quartiere, che con il quartiere di Vanchiglia intreccia rapporti sempre più stretti. È un luogo formato da persone che credono in un’idea diversa di socialità, in uno sport pulito fatto di fatica e sudore ma anche di risate e di momenti di impegno collettivo.
La palestra è una palestra di quartiere, è aperta al quartiere come punto di integrazione e di aggregazione per chiunque ami il pugilato e voglia portare avanti questo progetto.
LO SPORT NON SI SGOMBERA
LE IDEE NON SI SGOMBERANO
Davide

I VALORI DELLO SPORT
Ho sempre pensato che lo sport fosse un valore e non potesse esistere una vita sana ed equilibrata senza una pratica sportiva; ma la volontà si allontana quando hai a che fare con la pigrizia...Vado a nuotare? Ma l'abbonamento costa troppo per le mie tasche. Vado a correre? Che barba da sola, poi non ho mai amato farlo...
Capito per caso all'Askatasuna, mi dicono che c'è una palestra di nome Antifaboxe, dove chiaramente antifa stava per antifascista. Ho pensato che poteva essere una buona occasione per conoscere qualcuno che quantomeno avesse le mie stesse idee e che in più fosse fuori dal solito giro di amicizie con cui solitamente uscivo. Ho pensato anche che frequentare gente nuova mi poteva portare a imparare cose nuove, in più praticando assieme uno sport. Devo ammettere che non mi sono mai avvicinata all'Antifaboxe perchè volessi fare pugilato, quello ho cominciato ad amarlo con il tempo, ma piuttosto perchè ne avevo intuito un'interessante esperienza non solo sportiva. La prima lezione nel febbraio 2007, ad oggi sono più di due anni che vivo questa palestra, due anni intensissimi di iniziative, momenti meravigliosi e momenti difficili, vissuti assieme e affrontati con allegria, cuore e coraggio. Qui dentro si va oltre il rispetto per le diversità, qui l'integrazione e l'aggregazione sono valori naturali.
M

BASTEREBBERO I TERMOSIFONI
A me lo sport fa schifo. Sarebbe sbagliato dire che non mi piace. A me lo sport fa proprio schifo.
L’attività fisica non mi interessa né da un punto di vista sportivo né da un punto di vista estetico.
Piuttosto che correre scelgo la morte, agli addominali preferisco altre forme di autolesionismo,le flessioni non ho mai imparato a farle e non ne sento in nessun modo la mancanza.
Non mi ci vedo in una palestra a rassodare le braccia pendule con un nazista che mi urla addosso, né in una piscina piena di tardone in costume intero e cuffietta a tirare su il culo: quando la forza di gravità deciderà di posarsi sulle mie membra non troverà in me tanta presunzione da pensare di poter combattere le leggi della fisica,quindi mi consegnerò a lei senza alcuna resistenza, confidando nel fascino segreto della decadenza.
Mi chiedono di parlare della mia esperienza con la palestra popolare, ma credo che non si coglierebbe l’eccezionalità della mia frequentazione se non giustificassi le premesse.
Il mio rapporto di ostilità verso l’attività sportiva risiede in vecchi traumi, infantili e non, che per ragioni di stile e di sinteticità riassumerò in un elenco numerato.
Trauma numero uno. A sei anni il (non) mio sogno di diventare una ginnasta si infranse contro una tonica e platinatissima insegnante che, a fronte della mia incommensurabile incapacità, decise di soprannominarmi la bambina di pastafrolla e di consigliare a mia madre di provare con qualsiasi altro sport da lei non insegnato. A fronte della bruciante umiliazione, in famiglia cominciò ad affiorare il sospetto di un’inabilità fisica, sospetto rafforzato dalla mia strana capacità di ammalarmi ogni due lezioni. Ad oggi credo non fosse altro che una reazione autoconservativa
Anni di oblio, poi il trauma numero due: le scuole medie, il professore di italiano hippie, la ginnastica in classe tutti i giorni con le finestre spalancate anche a gennaio, gli esercizi in piedi e sdraiati, i piegamenti, gli stiramenti, i tormenti. La promessa a me stessa che non avrei mai più mosso un muscolo in vita mia. Purtroppo non è stato così.
Trauma numero tre: il liceo. Anzi mi correggo, al liceo doppio trauma, quindi trauma numero tre e numero quattro.Il numero tre si chiama peteca, sconosciuto e assurdo sport brasiliano che consiste nel lanciarsi una palla di gomma e amianto dotata di diverse piume di animale tropicale, sport utilissimo a spaccarsi le mani e sfregiarsi in una molteplicità di modi e situazioni. Nelle scuole normali si giocava a pallavolo, nelle più alternative a basket. Nella mia scuola si giocava a peteca.
Il trauma numero quattro si chiama corso di Thai boxe con maestro invasato e assolutamente convinto che “nella vita non servono la storia e la geografia, non vi serve a niente sapere qual è la capitale dell’Unione Sovietica, basta saper tirare due bei pugni”. Mi correggo: maestro invasato ed evidentemente nostalgico, in grado di ispirare tanta tenerezza che nessuno osò far notare che da più di un decennio le cose ad Est erano lievemente mutate. La classe ricominciò a malmenarsi senza alcuna protezione, dimenticando la triste fine dell’Urss.
L’ultimo trauma, trauma numero cinque, arriva con l’età della coscienza e il nuoto libero. Dire che arrivò il nuoto è una chiara macchinazione scenica, perché il nuoto di cui parlo consiste nella camminata in acqua (in acqua, non sull’acqua, è facile confondersi) e nell’incapacità totale di capire quale perversione abiti la mente di chi passa un’ora a sbracciarsi in vasche piene di cloro e pipì.Tre volte.Quattro al massimo. Fine del nuoto.

Questo in sintesi il mio rapporto con lo sport.Il mio non rapporto con lo sport.
Come si arriva quindi alla palestra popolare?
Purtroppo non trovo spiegazioni.So solo che da un anno faccio capoeira all’Antifa e che continuo ad andarci. Faccio più presenza che altro, ma ci vado. La capoeira mi stanca, talvolta mi annoia, non si capisce perché ma mi trovo sempre più indietro rispetto agli ultimi arrivati. La mia inabilità innata di fare sport è rimasta, però stranamente continuo ad andarci…sarà per simpatia rispetto al gruppo, sarà per le amicizie, sarà per amore, sarà per l’ambiente, sarà quel che sarà, ci vado e basta. Il maestro non è platinatissimo e non mi dice che sono fatta di pastafrolla anche se faccio pena, lo sport è brasiliano come quello con le piume di uccello ma per farlo non ci si deve sfregiare, nessuno mi insegna a malmenare la gente, e non sguazzo nel cloro e nella pipì. Fino all’anno scorso eravamo pochissimi, quest’anno non riusciamo quasi a muoverci per quanti siamo.In un istante di pura follia ho addirittura cominciato a seguire il corso di boxe e, pensa l’assurdo, mi piaceva anche, ho smesso solo perché mi serve tempo per scrivere la tesi. L’esperienza con la palestra popolare è senza dubbio quella meno traumatica tra le mie esperienze sportive. Dico meno traumatica perché in effetti un problema c’è, ed è il freddo. Si, il freddo, proprio come alle scuole medie quando aprivamo le finestre a gennaio. Forse minacciano di sgomberare la palestra perché temono per la nostra salute.Ma per questo non serve uno sgombero, bastano dei termosifoni.
M.

ELEMENTI ANOMALI
Ho letto sui giornali che siamo brutti e cattivi. Sono un paio di anni che frequento l’Antifa Boxe e non me ne ero accorto. Eppure in palestra gli specchi per fare “vuoto” li abbiamo. Ma forse non li usiamo per controlarci l’addominale scolpito. Dicono che siamo anche cattivi, oltre che brutti. Eppure in palestra abbiamo imparato che prima di combattere si saluta l’avversario e dopo lo si ringrazia per quello che ci ha insegnato. E che la boxe non è fatta di violenza ma di tecnica ed eleganza. Allora forse siamo brutti ed eleganti.
Parlando con un ragazzo che è arrivato fin qui a piedi dall’Afganistan, che non vede i suoi affetti da dieci anni, che ha trovato nella palestra popolare uno spazio di libertà ed integrazione, guardo meglio ciò che nello specchio viene riflesso. Mi accorgo che così brutti, poi, non siamo. Anche se non lavoriamo sull’apparire. Magari preferiamo l’essere. L’esserci.
Se poi “brutto” nasconde altro, e in realtà vuol dire profugo, vuol dire migrante, o si riferisce al colore della pelle, ai vestiti non firmati, se “cattivo” è chi sceglie di non lucrare sullo sport, di praticarlo solo e soltanto con e per passione, in uno spazio liberato che qualcuno vorrebbe restituire al nulla, allora forse si.
Siamo brutti e cattivi.
Vince


UN PENSIERO PER ANTIFABOXE
Antifaboxe è uno straordinario laboratorio sociale, un luogo della creatività; un'esperienza di partecipazione e apprendimento
collettivo dove si coltivano reciproco rispetto e solidarietà, dove si incontrano persone speciali per conoscenza e umiltà.
Massimo


LIBERI DI FARE SPORT
Che dire della palestra popolare?
Ne sono venuta a conoscenza grazie ad un amico. Stavamo parlando della capoeira e lui m'ha detto che all' Aska c'era un gruppo di ragazzi che la faceva e che se volevo potevo provare. Il fatto che il gruppo si trovasse per allenarsi spontaneamente mi ha da subito stimolato: ho trovato libertà di iniziativa rispetto all'impegno di frequentare il corso e,in seguito, anche rispetto alle proposte che riguardavano l'utilizzo degli spazi.
Oggi il gruppo di capoeira è vario: ci sono persone nuove quasi ogni settimana. L'attività in realtà non è rimasto l'unico motivo di aggregazione: in genere v'è scambio di opinioni , idee e  pensieri.
Forse  è proprio perchè la capoeira fu storicamente una lotta di liberazione dalla schiavitù che ancora oggi ci sentiamo liberi nel farlo.
ps: con dieci euro al mese, adotta un capoeirista anche tu!!
C.

LA PALESTRA NEL QUARTIERE
Ho scoperto la boxe per caso, a 37 anni,  quando cioè i pugili in genere smettono.
Ero in un teatro e in attesa dello spettacolo trovo una di quelle riviste periodiche sulla città di Torino. All’interno c’era un’intervista ad Antonello, uno degli insegnanti dell’Antifa Boxe.

Scopro cosi che sono 8 anni che questa palestra fa attività sportiva, che ha lanciato anche qualche atleta nell'agonismo e leggo soprattutto che è una palestra aperta a tutti senza nessun fine politico o militante.
L'unica cosa che richiedono è l’essere antifascisti. Richiesta tra l’altro che dovrebbe essere inutile visto che ciò è sancito anche nella nostra Costituzione e dovrebbe essere un valore in cui tutti i cittadini dovrebbero ritrovarsi.

E’ solo a 200 metri da casa mia quindi decido di andare a dare un'occhiata.  Devo ammettere però anche con una certa diffidenza. Fino a quel momento le mie frequentazioni dei centri sociali si limitavano a qualche concerto di quando ero studente universitario e il mio timore era che dietro l’attività sportiva ci fosse intrinseca una attività politica. Certo, ognuno può fare attività come meglio crede ma io in questo momento  ho voglia solo di provare la "nobile arte" che mi ha sempre affascinato.

E all’interno della Antifa trovo tutto ciò che cercavo e che allontana i miei timori.
Trovo insegnanti preparati, pazienti e professionali, una attrezzatura  piccola ma sufficiente per allenarsi,  ma trovo soprattutto gente come me che è lì per amore dello sport.

Scopro che frequentare la scuola di boxe non implica essere militanti  all'interno del centro sociale. Ovviamente si può decidere di partecipare o meno alle attività dell'Askatasuna, ma sempre indipendentemente dalla palestra.
La palestra e i ragazzi del centro sono ovviamente amici e solidali ma ben distinti tra di loro. Ed è quella la loro forza.
Chi decide di fare attività politica non intralcia chi fa attività sociale o chi fa sport.
Le cose si possono intersecare e conciliare, ma il tutto avviene in maniera spontanea, libera, senza forzature.

Ma all’Antifa si fa Boxe! Quella pura. Dura ma leale, forte, tecnica e con regole severe.
Chi crede che all’interno della scuola si addestrino “combattenti” sta sbagliando di grosso.
Basta vedere chi la frequenta: studenti, lavoratori, gente meno giovane, ragazze…. Insomma: il quartiere…  tutto ciò che è veramente molto lontano dalla violenza e dalla esaltazione.
Basta vedere i sorrisi e gli sguardi delle persone che si allenano, capaci di “buttare” non molotov o pietre, ma solo sudori  e lamenti dopo qualche serie decisa di addominali.

Pensare di chiudere l’Askatasuna e di conseguenza chiudere l’Antifa Boxe non vorrebbe solo dire di eliminare una realtà sportiva accessibile a tutti ma vorrebbe dire anche eliminare un momento aggregativo del quartiere, quello vero, quello popolare,  fatto da persone che ritrovano nello sport ma soprattutto nella boxe un modo per incontrarsi e allenarsi.
A.

PENSIERI...
Dopo aver vagato per lungo tempo - come un novello Ulisse - sono finalmente approdato all' Antifaboxe, isola felice nel panorama delle palestre torinesi. Per me è innanzitutto un luogo di aggregazione, dove si pratica uno sport di antichissima e nobile tradizione. Ed è proprio nella pratica sportiva che l'Antifa si distingue profondamente dalle altre palestre. Per volere del suo fondatore, Antonello, all'Antifa non si pratica attività agonistica. Una scelta oculata e vincente, perchè non praticando agonismo, automaticamente ci si smarca dalla logica del business, ed in questo modo si può curare molto bene l'aspetto tecnico e la preparazione atletica. Fatto incredibile, all'Antifa nessun frequentante viene abbandonato a se stesso, gli istruttori (tutti assai preparati) seguono indistintamente tutti, dalle persone più dotate (e ce ne sono parecchie) a quelle meno. Anche per questo motivo ho scelto di frequentare questa palestra. Un ambiente sano, intellettualmente assai elevato e stimolante, una superba preparazione atletica e tecnica fanno dell'Antifaboxe un luogo assai speciale.
Se il centro Askatasuna venisse sgomberato l'Antifa sparirebbe e con essa un patrimonio sociale di immenso valore. Per 10 euro al mese si può praticare, a Torino, sport in un luogo "pulito" dove mandare i propri figli.
Mauro