LETTERE DALLA PALESTRA
I ragazzi dell'Antifa Boxe si raccontano (ancora)
Sono sempre stata vicina al centro e ho sempre guardato
(anche prima di entrarvi a far parte) alla palestra come un singolare
laboratorio al suo interno. Abbiamo parlato molto di cosa una palestra popolare
antifascista debba porsi come obiettivi sensibili, ma credo che più di ogni
speculazione sia sempre valsa l’esperienza del luogo, delle persone che negli
anni l’hanno animata.
La mia personale vicinanza alla palestra nasce in un
momento di feroce tristezza, ed è successivo ad un’aggressione in un parco di
questa Torino avvelenata (finita nel nulla, ma paralizzante li per li, odiosa),
subito dopo la quale ho preferito
lavorare su un qualche tipo di reattività (che può aiutare a salvare la pelle
in alcuni casi).
L’amore per queste fatiche estreme invece arriva da una
persona che mi è stata sempre vicina, anche se la boxe l’ho saputa apprezzare
solo allenandomi e imparando a riconoscere le qualità di un incontro, guardando
gli incontri che trasmettevano alle 5 del mattino, seduta con gli altri all’Aska su divani sfondati, tra
commenti e risate.
L’Antifaboxe per me era un racconto, lungo anni e anni,
erano le parole di Andrea sullo sguardo che si raffina, sull’occhio che impara
a vedere, sul colpo che innanzitutto si impara a prendere, sull’esplosività, era l’idea di “lasciare correre” e lavorare
sulle reazioni, di non boxare con ferocia, che bisogna essere lucidi per capire
come affrontare un avversario. Era che l’avversario è innanzitutto (e auspicabilmente) un compagno e
non un rivale. Erano gli incontri clandestini una volta all’anno. Che ogni
ripresa ha la sua storia, che ogni pugno ha la sua storia. Che la tua storia
determina in larga misura il modo in cui combatti. È la riflessione su ogni
relazione, ripulita da qualsiasi aspettativa sugli altri, sempre imprevedibili, e il lavoro denso
su di sé e la propria aggressività. Ognuno ha motivi più o meno espliciti di
viverla, io ho sempre sofferto molto la violenza subita, in famiglie severe
come nella vita in genere, e non ero mai
riuscita a prendermi cura dell’aggressività e della violenza e dell’ira (così
come dell’eccessiva difesa), né a vederle
come delle risorse da imparare a gestire, non avevo mai conosciuto a
fondo i meccanismi delle mie paure, allacciate alle azioni degli altri. Un
incontro può essere molto istruttivo in tal senso.
Di fatica ne ho
spesa qui dentro. Ho superato
distrazioni inutili trovando casa in questa palestra, ridendo anche se giù di morale.
Frequentare l’Antifaboxe è stato il modo
migliore che ho avuto per imparare a conoscere le forze che ho e posso avere (e
per riprendere i dieci chili persi anni fa e apparentemente irrecuperabili).
Auguro a tutti la possibilità di confrontarsi poi con dei
compagni splendidi che si prestano al gioco, in palestra e fuori. Alcuni non li
vorrei mai perdere di vista, convinta che mi abbiano resa migliore in alcune
occasioni (politicamente, umanamente), convinta di aver potuto dare qualcosa di
utile in alcuni momenti anche a loro.
Spero che questa palestra viva a lungo e che sappia
reinventarsi come spazio libero.
Un augurio all’Antifa boxe per i suoi 15 anni di vita (e
sopravvivenza).
Sempre su lo sguardo.
Laura
Per quanto critiche possano essere la situazione
e le circostanze in cui vi trovate, non disperate;
è proprio nelle occasioni in cui c’è tutto da
temere che
non bisogna temere niente; è quando siamo
circondati
da pericoli di ogni tipo che non bisogna averne
paura;
è quando siamo senza risorse che dobbiamo contare
su tutte; è quando siamo sorpresi che dobbiamo sorprendere il nemico.
(Sun Tzu, L’arte della guerra)
Amo da sempre il pugilato. Ho iniziato ad amarlo da piccolo … Lo
guardavo alla televisione, insieme a mio padre … pesi massimi … Era il periodo
in cui Tyson spaccava i culi. Anni ’80. Non capivo la profondità e la bellezza
di questo sport, lo guardavo con gli occhi di un bambino, ma mi affascinava… Da
ragazzino son finito poi a fare altri sport, fino a sedici anni più o meno. Poi
più niente. La vita non sempre viaggia in linea retta. Ti incammini pensando di
andare in una certa direzione e ti ritrovi da tutt’altra parte, ci si incasina,
tutto si aggroviglia, e prima o poi ti devi fermare per cercare di trovare il
modo di sbrogliare la matassa. Sono arrivato così all’Antifaboxe… col desiderio
di riprendere in mano quel filo e scioglierne un po’ a volta i nodi. Il
pugilato è stato un buon punto di partenza, e poi in fondo mi era sempre
rimasto in testa da quegli incontri visti alla televisione, quando ero gagno…
avevo sempre desiderato farlo… e alla fine dei conti è stata la scelta migliore
che potessi fare.
Col pugilato non ti puoi nascondere, non ti puoi raccontare cazzate,
tiri fuori quello che sei… è una forma di espressione di sé, non ci sono
maschere e non c’è finzione. Ognuno col tempo sviluppa il proprio modo di
combattere… certo: le scuole, gli stili, i maestri che ti correggono, ma alla
fine la tua personalità viene fuori… e finisce che magari scopri aspetti di te
che neanche pensavi di avere, o che non volevi vedere… non c’è finzione,
ripeto, niente cazzate… Il pugilato è sacrificio, è autodisciplina, è
dedizione. Dietro quei 3 fottuti round ci sono mesi di preparazione, di occhi
gonfi, nasi rotti, esaltazione e paura di non farcela. Non e ne rendi conto
finchè non ci sei dentro, e una volta che ci sei dentro devi dare davvero
tutto, il risultato non conta un cazzo, l’unica cosa che conta è sapere di aver
fatto tutto quel che si poteva fare, e alla fine giocarsela, ognuno con gli
strumenti e le possibilità che gli sono proprie… Ma tutto questo in fondo non
ha poi così tanta importanza, sono mie riflessioni, è il mio modo di vivermela,
per qualcuno sarà sicuramente diverso… Quel che è davvero importante è il
concetto di “palestra popolare autogestita”. Quel che è importante è che esista
un gruppo di persone che collabora alla creazione di uno spazio in cui le
logiche del profitto, della sopraffazione e della competizione non abbiano
luogo, e confido nello sforzo di tutti affinchè questo progetto si rafforzi e
continui a perdurare ancora per molti anni.
Federico
Nice
Torino 2010
, balza alla mia attenzione un articoletto, "all'interno del centro
sociale Askatasuna avviene un reclutamento di militanti, allenati al
combattimento e mandati alle manifestazioni a picchiare la polizia".
"Accipicchia!" pensai. Era naturalmente un giornalino di ignoranti,
scritto da una mano ignorante e destinato a gente che vuole ignorare.
Noi però
non lo ignorammo, così con un paio di amici e colleghi decidemmo di provare a
raccogliere testimonianze e immagini per capire che tipo di realtà fosse.
Andammo
all'Askatasuna e suonammo il campanello. Un guantone venne fatto cadere giù da
una finestra: legate c'erano le chiavi per entrare. Quello è stato il mio primo
incontro con l'Antifaboxe, una palestra popolare e autogestita.
Dopo
qualche intervista e qualche ripresa mi ritrovai senza neanche accorgermene con
fasce ai polsi, sudato, a saltare una corda.
Da allora
tante cose sono capitate.
Dai lunghi
e faticosi allenamenti per poter arrivare a combattere sul ring (cosa che per
tre anni ho provato a fare ma sempre il mio peso mancava, mai 'na gioia). Alle
manifestazioni e le lunghe passeggiate in valle a raccogliere cs da ridonare a
quei poveri individui tutti corazzati e segregati dietro le loro reti
desiderosi di uscire quanto noi desiderosi di entrare.
Per
arrivare alle cene ed iniziative di auto-finanziamento e le serate dentro e fuori
l'Aska.
Insomma
tanta roba è capitata: antifascismo, sport e amici, con qualche cazzotto e un
po' di birra... quale connubio migliore?
Tanti
auguri Antifaboxe, sempre sù lo sguardo.
Fra
Difficile
descrivere in poche righe cosa sia e non sia la palestra Antifaboxe.
Difficile
perché, nonostante il piccolo spazio in cui ci sia allena, è tanta e piena.
Di
emozioni e sensazioni.
Altalenanti,
svariate, sempre in quilibrio instabile.
Illusioni
che però qui assumono forma di realtà, coesione, partecipazione, scambio,
crescita, messa in discussione e gioco.
Di
corpi e menti, di vissuti, backgroud e percorsi diversi.
E
mentre i corpi interagiscono, s’affaticano, lavorano e poi godono dei risultati
ottenuti- fosse anche solo di una maggior consapevolezza di sé (e dici mica
poco!)- le storie personali si intrecciano. Oppure no.
Pechè
il bello sta proprio in questo.
L’Antifaboxe
è uno spazio nel quale posso decidere come, quando e quanto espormi.
Conscia
di attraversare uno spazio mai neutro, a cui prendere parte attivamente, con un
occhio rivolto agli aspetti politici che la permeano, ma non solo.
È
un posto nel quale ritrovare serenità e sfogo dopo una giornata andata storta
ed è lo stesso nel quale arrabbiarsi e confrontarsi per, e con, i limiti che
ancora abbiamo.
Nell’animo
il desiderio di un mondo diverso e, ben salda nella mente la certezza che il
cambiamento inizia anche da noi, dagli spazi e gli ambienti che scegliamo di
attraversare ogni giorno. E dal lavoro lento, ma tenace e costante, per far si
che possano dirsi realmente liberati.
In
questo caso con un paio di guantoni tra le manie un pizzico di grinta!
Con
uno sguardo all’immediato ed uno all’infinito… Avanti Antifaboxe!
A.
Sono arrivata davanti alla palestra la prima
volta per errore. Dopo un solo giorno che ero a Torino mi sono persa per le vie
del centro e sono arrivata davanti a questo grande palazzo tutto rosso: la
prima reazione è stata subito un gran senso di curiosità. Dopo neanche due
settimane ero timidamente in un angolo della palestra, con una corda in mano,
cercando di saltarla resistendo per almeno venti secondi consecutivi. Oggi,
dopo più di due anni, entro in quella stessa stanza sentendomi a casa, riconoscendo
quell’umido odore che sa di fatica mista a impegno e voglia di crescere, giorno
dopo giorno. Quando entrai all’Antifaboxe pensavo che avrei dovuto subito farmi
un mazzo tanto per cercare di adeguarmi al livello dei compagni che facevano il
mio stesso corso, invece mi sono accorta che a volte erano loro a rallentare il
passo per continuare a stare insieme a me. Ancora ricordo il momento in cui
durante uno dei miei primi allenamenti, dopo venti minuti di corsa in un gelido
novembre, sentii il mio passo farsi lento e i respiri sempre più pesanti,
finchè il “maestro” del mio corso mi prese a braccetto, dandomi un piccolo
aiuto per portare a termine quella corsa insieme agli altri: fu una
soddisfazione che mi spinge ad andare avanti ancora oggi. All’Antifaboxe non
esistono maestri, non esistono allievi, non esistono i migliori né i peggiori:
esiste solo un gruppo di ragazzi che vogliono imparare, combattere e
condividere una passione in modo alternativo. Qui esiste la sfida ma non
l’agonismo, esiste la sconfitta ma non l’umiliazione, esiste l’insegnamento ma
non gli ordini. Se potessi tornare indietro rifarei la stessa scelta mille
volte, perché in questa palestra ho imparato non solo il pugilato ma la
solidarietà, la tenacia e la voglia di lottare tenendo alta la bandiera
dell’antifascismo.
A.