venerdì 21 ottobre 2016

LETTERE DALLA PALESTRA
I ragazzi dell'Antifa Boxe si raccontano (ancora)
 

Sono sempre stata vicina al centro e ho sempre guardato (anche prima di entrarvi a far parte) alla palestra come un singolare laboratorio al suo interno. Abbiamo parlato molto di cosa una palestra popolare antifascista debba porsi come obiettivi sensibili, ma credo che più di ogni speculazione sia sempre valsa l’esperienza del luogo, delle persone che negli anni l’hanno animata.

La mia personale vicinanza alla palestra nasce in un momento di feroce tristezza, ed è successivo ad un’aggressione in un parco di questa Torino avvelenata (finita nel nulla, ma paralizzante li per li, odiosa), subito dopo la  quale ho preferito lavorare su un qualche tipo di reattività (che può aiutare a salvare la pelle in alcuni casi).
L’amore per queste fatiche estreme invece arriva da una persona che mi è stata sempre vicina, anche se la boxe l’ho saputa apprezzare solo allenandomi e imparando a riconoscere le qualità di un incontro, guardando gli incontri che trasmettevano alle 5 del mattino, seduta  con gli altri all’Aska su divani sfondati, tra commenti e risate.
L’Antifaboxe per me era un racconto, lungo anni e anni, erano le parole di Andrea sullo sguardo che si raffina, sull’occhio che impara a vedere, sul colpo che innanzitutto si impara a prendere, sull’esplosività,  era l’idea di “lasciare correre” e lavorare sulle reazioni, di non boxare con ferocia, che bisogna essere lucidi per capire come affrontare un avversario. Era che l’avversario è  innanzitutto (e auspicabilmente) un compagno e non un rivale. Erano gli incontri clandestini una volta all’anno. Che ogni ripresa ha la sua storia, che ogni pugno ha la sua storia. Che la tua storia determina in larga misura il modo in cui combatti. È la riflessione su ogni relazione, ripulita da qualsiasi aspettativa sugli  altri, sempre imprevedibili, e il lavoro denso su di sé e la propria aggressività. Ognuno ha motivi più o meno espliciti di viverla, io ho sempre sofferto molto la violenza subita, in famiglie severe come nella vita in genere,  e non ero mai riuscita a prendermi cura dell’aggressività e della violenza e dell’ira (così come dell’eccessiva difesa), né a vederle  come delle risorse da imparare a gestire, non avevo mai conosciuto a fondo i meccanismi delle mie paure, allacciate alle azioni degli altri. Un incontro può essere molto istruttivo in tal senso.
 Di fatica ne ho spesa qui  dentro. Ho superato distrazioni inutili trovando casa in questa  palestra, ridendo anche se giù di morale. Frequentare l’Antifaboxe è stato il  modo migliore che ho avuto per imparare a conoscere le forze che ho e posso avere (e per riprendere i dieci chili persi anni fa e apparentemente irrecuperabili).
Auguro a tutti la possibilità di confrontarsi poi con dei compagni splendidi che si prestano al gioco, in palestra e fuori. Alcuni non li vorrei mai perdere di vista, convinta che mi abbiano resa migliore in alcune occasioni (politicamente, umanamente), convinta di aver potuto dare qualcosa di utile in alcuni momenti anche a loro.
Spero che questa palestra viva a lungo e che sappia reinventarsi come spazio libero.
Un augurio all’Antifa boxe per i suoi 15 anni di vita (e sopravvivenza).
Sempre su lo sguardo.
Laura


Per quanto critiche possano essere la situazione
e le circostanze in cui vi trovate, non disperate;
è proprio nelle occasioni in cui c’è tutto da temere che
non bisogna temere niente; è quando siamo circondati
da pericoli di ogni tipo che non bisogna averne paura;
è quando siamo senza risorse che dobbiamo contare su tutte; è quando siamo sorpresi che dobbiamo sorprendere il nemico.
(Sun Tzu, L’arte della guerra)


Amo da sempre il pugilato. Ho iniziato ad amarlo da piccolo … Lo guardavo alla televisione, insieme a mio padre … pesi massimi … Era il periodo in cui Tyson spaccava i culi. Anni ’80. Non capivo la profondità e la bellezza di questo sport, lo guardavo con gli occhi di un bambino, ma mi affascinava… Da ragazzino son finito poi a fare altri sport, fino a sedici anni più o meno. Poi più niente. La vita non sempre viaggia in linea retta. Ti incammini pensando di andare in una certa direzione e ti ritrovi da tutt’altra parte, ci si incasina, tutto si aggroviglia, e prima o poi ti devi fermare per cercare di trovare il modo di sbrogliare la matassa. Sono arrivato così all’Antifaboxe… col desiderio di riprendere in mano quel filo e scioglierne un po’ a volta i nodi. Il pugilato è stato un buon punto di partenza, e poi in fondo mi era sempre rimasto in testa da quegli incontri visti alla televisione, quando ero gagno… avevo sempre desiderato farlo… e alla fine dei conti è stata la scelta migliore che potessi fare.
Col pugilato non ti puoi nascondere, non ti puoi raccontare cazzate, tiri fuori quello che sei… è una forma di espressione di sé, non ci sono maschere e non c’è finzione. Ognuno col tempo sviluppa il proprio modo di combattere… certo: le scuole, gli stili, i maestri che ti correggono, ma alla fine la tua personalità viene fuori… e finisce che magari scopri aspetti di te che neanche pensavi di avere, o che non volevi vedere… non c’è finzione, ripeto, niente cazzate… Il pugilato è sacrificio, è autodisciplina, è dedizione. Dietro quei 3 fottuti round ci sono mesi di preparazione, di occhi gonfi, nasi rotti, esaltazione e paura di non farcela. Non e ne rendi conto finchè non ci sei dentro, e una volta che ci sei dentro devi dare davvero tutto, il risultato non conta un cazzo, l’unica cosa che conta è sapere di aver fatto tutto quel che si poteva fare, e alla fine giocarsela, ognuno con gli strumenti e le possibilità che gli sono proprie… Ma tutto questo in fondo non ha poi così tanta importanza, sono mie riflessioni, è il mio modo di vivermela, per qualcuno sarà sicuramente diverso… Quel che è davvero importante è il concetto di “palestra popolare autogestita”. Quel che è importante è che esista un gruppo di persone che collabora alla creazione di uno spazio in cui le logiche del profitto, della sopraffazione e della competizione non abbiano luogo, e confido nello sforzo di tutti affinchè questo progetto si rafforzi e continui a perdurare ancora per molti anni.
Federico Nice


Torino 2010 , balza alla mia attenzione un articoletto, "all'interno del centro sociale Askatasuna avviene un reclutamento di militanti, allenati al combattimento e mandati alle manifestazioni a picchiare la polizia". "Accipicchia!" pensai. Era naturalmente un giornalino di ignoranti, scritto da una mano ignorante e destinato a gente che vuole ignorare.
Noi però non lo ignorammo, così con un paio di amici e colleghi decidemmo di provare a raccogliere testimonianze e immagini per capire che tipo di realtà fosse.
Andammo all'Askatasuna e suonammo il campanello. Un guantone venne fatto cadere giù da una finestra: legate c'erano le chiavi per entrare. Quello è stato il mio primo incontro con l'Antifaboxe, una palestra popolare e autogestita.
Dopo qualche intervista e qualche ripresa mi ritrovai senza neanche accorgermene con fasce ai polsi, sudato, a saltare una corda.
Da allora tante cose sono capitate. 
Dai lunghi e faticosi allenamenti per poter arrivare a combattere sul ring (cosa che per tre anni ho provato a fare ma sempre il mio peso mancava, mai 'na gioia). Alle manifestazioni e le lunghe passeggiate in valle a raccogliere cs da ridonare a quei poveri individui tutti corazzati e segregati dietro le loro reti desiderosi di uscire quanto noi desiderosi di entrare.
Per arrivare alle cene ed iniziative di auto-finanziamento e le serate dentro e fuori l'Aska. 
Insomma tanta roba è capitata: antifascismo, sport e amici, con qualche cazzotto e un po' di birra... quale connubio migliore?
Tanti auguri Antifaboxe, sempre sù lo sguardo.
Fra
 
Difficile descrivere in poche righe cosa sia e non sia la palestra Antifaboxe.
Difficile perché, nonostante il piccolo spazio in cui ci sia allena, è tanta e piena.
Di emozioni e sensazioni.
Altalenanti, svariate, sempre in quilibrio instabile.

 E come dice la canzone degli ormai passatissimi Stadio: “…Colleziono illusioni”.
Illusioni che però qui assumono forma di realtà, coesione, partecipazione, scambio, crescita, messa in discussione e gioco.

Di corpi e menti, di vissuti, backgroud e percorsi diversi.
E mentre i corpi interagiscono, s’affaticano, lavorano e poi godono dei risultati ottenuti- fosse anche solo di una maggior consapevolezza di sé (e dici mica poco!)- le storie personali si intrecciano. Oppure no.
Pechè il bello sta proprio in questo.

L’Antifaboxe è uno spazio nel quale posso decidere come, quando e quanto espormi.
Conscia di attraversare uno spazio mai neutro, a cui prendere parte attivamente, con un occhio rivolto agli aspetti politici che la permeano, ma non solo.
È un posto nel quale ritrovare serenità e sfogo dopo una giornata andata storta ed è lo stesso nel quale arrabbiarsi e confrontarsi per, e con, i limiti che ancora abbiamo.

Nell’animo il desiderio di un mondo diverso e, ben salda nella mente la certezza che il cambiamento inizia anche da noi, dagli spazi e gli ambienti che scegliamo di attraversare ogni giorno. E dal lavoro lento, ma tenace e costante, per far si che possano dirsi realmente liberati.

In questo caso con un paio di guantoni tra le manie un pizzico di grinta!
Con uno sguardo all’immediato ed uno all’infinito… Avanti Antifaboxe!
A.
 
 Sono arrivata davanti alla palestra la prima volta per errore. Dopo un solo giorno che ero a Torino mi sono persa per le vie del centro e sono arrivata davanti a questo grande palazzo tutto rosso: la prima reazione è stata subito un gran senso di curiosità. Dopo neanche due settimane ero timidamente in un angolo della palestra, con una corda in mano, cercando di saltarla resistendo per almeno venti secondi consecutivi. Oggi, dopo più di due anni, entro in quella stessa stanza sentendomi a casa, riconoscendo quell’umido odore che sa di fatica mista a impegno e voglia di crescere, giorno dopo giorno. Quando entrai all’Antifaboxe pensavo che avrei dovuto subito farmi un mazzo tanto per cercare di adeguarmi al livello dei compagni che facevano il mio stesso corso, invece mi sono accorta che a volte erano loro a rallentare il passo per continuare a stare insieme a me. Ancora ricordo il momento in cui durante uno dei miei primi allenamenti, dopo venti minuti di corsa in un gelido novembre, sentii il mio passo farsi lento e i respiri sempre più pesanti, finchè il “maestro” del mio corso mi prese a braccetto, dandomi un piccolo aiuto per portare a termine quella corsa insieme agli altri: fu una soddisfazione che mi spinge ad andare avanti ancora oggi. All’Antifaboxe non esistono maestri, non esistono allievi, non esistono i migliori né i peggiori: esiste solo un gruppo di ragazzi che vogliono imparare, combattere e condividere una passione in modo alternativo. Qui esiste la sfida ma non l’agonismo, esiste la sconfitta ma non l’umiliazione, esiste l’insegnamento ma non gli ordini. Se potessi tornare indietro rifarei la stessa scelta mille volte, perché in questa palestra ho imparato non solo il pugilato ma la solidarietà, la tenacia e la voglia di lottare tenendo alta la bandiera dell’antifascismo.

A.